Beni pubblici

Patrimonio indisponibile della Pubblica Amministrazione: costituisce, insieme ai beni demaniali e a quelli patrimoniali disponibili, una delle tipologie in cui si articola la categoria generale dei beni di proprietà pubblica.
In tale sua qualità riceve una specifica disciplina fondata sul principio per cui i beni indisponibili, benché assoggettati alle regole particolari che li riguardano e, in assenza di queste, anche alle norme civilistiche, non possono comunque essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano. 
In termini generali, la disciplina della indisponibilità dei beni pubblici si applica in forza di una riserva legale legata alla natura del bene (ad es., miniere, acque minerali e termali) o alla appartenenza a un ente pubblico (ad es., parchi nazionali) o ancora alla congiunta presenza del requisito di appartenenza e di quello di destinazione (ad es., uffici e arredi).
E’ principio consolidato che il bene pubblico, laddove non appartenga al demanio necessario, assume il regime giuridico proprio dei beni patrimoniali indisponibili – in quanto destinati ad un pubblico servizio – a due concorrenti condizioni: la presenza della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico, desumibile da un espresso atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio, nonché l’effettiva ed attuale destinazione del bene a pubblico servizio. Da ciò discende che, in assenza dell’effettiva ed attuale utilizzazione in conformità della destinazione ad esso impressa, la determinazione amministrativa di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio non è sufficiente per l’esercizio, tra gli altri, del potere di autotutela esecutiva.
La sua specifica natura comporta che, qualora tale categoria di bene sia trasferita nella disponibilità di privati perché ne facciano determinati usi mediante concessione amministrativa (unico strumento idoneo a tale trasferimento), restano devolute al giudice amministrativo le controversie connesse al rapporto concessorio, per tali dovendosi intendere anche quelle in cui siano contestati i limiti delle facoltà da riconoscersi alle parti in base all'atto di concessione.
 
Beni storici e artistici e loro regime circolatorio: trovano regolamentazione nel D.Lgs. n. 42/2004 (Codice Urbani), che li inquadra nella categoria generale dei Beni Culturali e definisce come tali le cose immobili e mobili che, in base alle disposizoni ivi contenute, presentano interesse artistico, storico, archeologico e di altro indicato valore, nonché le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. Gli argomenti di interesse sono molteplici, in particolare (i) l’individuazione delle singole tipologie di beni culturali, (ii) il procedimento per la dichiarazione di interesse culturale di un bene, (iii) i poteri di vigilanza e ispezione su di essi attribuiti agli organi statali, (iv) il procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia, con previsione di una forma di silenzio-assenso, (v) il procedimento e le prescrizioni di tutela indiretta da parte dell’autorità statale che devono essere recepite negli strumenti urbanistici comunali.
Specifico interesse pratico assume, rispetto ai precedenti temi, il regime di circolazione di tali beni e, in particolare, la prelazione a favore dello Stato in caso di alienazione di essi da parte del soggetto privato. Si tratta di una procedura articolata, la cui inosservanza o violazione da parte del privato determina conseguenze assai gravi per la sorte dell’atto di compravendita stipulato con elusione della posizione dello Stato, suscettibile anche della declaratoria di nullità. Le sequenze della procedura hanno precise cadenze temporali: (a) invito pubblico all’offerta di acquisto dell’immobile, subordinata alla duplice condizione del mancato esercizio della prelazione da parte di Stato ed enti pubblici territoriali e della stipula di un ulteriore atto tra le parti con versamento del prezzo di acquisto già concordato insieme alla consegna del bene all’acquirente; (b) stipula dell’atto di compravendita condizionato sospensivamente all’esercizio della prelazione da parte dello Stato; (c) trascrizione dell’atto di compravendita contenente la doppia suindicata condizione; (d) denuncia di trasferimento del bene presentata dal venditore all’autorità statale; (e) eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato o degli enti pubblici territoriali, al medesimo prezzo di quello stabilito tra i privati nell’atto di compravendita; (f) in  caso di mancata prelazione, stipula tra le parti dell’atto integrativo con versamento del prezzo e consegna del bene.
 
Concessione di beni pubblici: costituisce la forma giuridica attraverso la quale la p.a. trasferisce a un privato  la disponibilità esclusiva di un bene pubblico (demaniale o patrimoniale indisponibile) per un uso o una finalità determinati.
In forza del principio di concorrenzialità derivante dall’ordinamento comunitario, è ormai incontestata la regola per cui le concessioni di beni pubblici, in quanto concernenti beni economicamente contendibili, devono essere affidate mediante procedure ad evidenza pubblica, a tutela sia della concorrenza tra più aspiranti sia dell’interesse al più conveniente sfruttamento della risorsa e alla realizzazione degli interessi generali. Da ciò discende che non sussiste in capo al titolare di una concessione alcun diritto al rinnovo della stessa alla scadenza, con conseguente necessità per l’ente concedente di indizione di una pubblica gara dopo la scadenza stessa ai fini della scelta del nuovo concessionario.
Sotto il profilo processuale sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione a tutta la fase esecutiva del rapporto concessorio, ad eccezione delle controversie dal contenuto meramente patrimoniale. 
 
Usucapione pubblica: si tratta di un istituto che trova riconoscimento solo nei settori in cui l’azione della p.a. assume un carattere giuridicamente qualificato tale da presentare gli elementi richiesti per il maturare dell’usucapione, per cui si tratta di una verifica che deve essere fatta per ogni singola materia: a) nelle procedure espropriative viene unanimemente escluso il formarsi dell’usucapione pubblica, data l’insussistenza dei requisiti dell’interversione del possesso e del possesso utile; b) per le strade di lottizzazione è stato invece riconosciuto che l’uso ultraventennale di una strada da parte della collettività indifferenziata in funzione del pubblico transito determina il passaggio della stessa nella proprietà del comune per usucapione, a prescindere dall’esistenza o meno di una convenzione di lottizzazione e del connesso obbligo per il lottizzante di trasferire le opere di urbanizzazione ai sensi della legge, ma si tratta di una tesi non del tutto condivisa.
 
Servitù di uso pubblico: strettamente connessa al tema dell’usucapione pubblica, trova il suo principio regolatore nell’enunciato giurisprudenziale per cui l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a detto scopo; in particolare, in caso di servitù di passaggio pubblico su di una strada privata, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico ma ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, dovendo necessariamente presupporre un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario e amministrazione o un testamento, ragion per cui, affinché una strada privata possa essere considerata di uso pubblico, non basta che possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario.
 
Strade vicinali e oneri manutentivi pubblici: argomento che trae origine dalla definizione che il codice della strada fornisce della “strada vicinale”, indicata come “strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico”. Una tale obbligatoria destinazione comporta che le strade vicinali devono essere necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze, il comune possa vantare, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale al transito, con attribuzione in capo al medesimo dei poteri e compiti che il codice della strada attribuisce agli enti proprietari delle strade. 
Il conferimento del diritto reale di transito si correla con il dovere dell’ente di concorrere alla spese di manutenzione della strada, in relazione al quale si è sviluppata nel tempo una specifica disciplina, così articolata: (a) riparazione e conservazione delle strade a carico di chi ne fa uso, con possibile concorso nelle spese di riparazione da parte del comune (art. 51 L. n. 1865/2248 all. F); (b) obbligo del comune di concorrere nelle spese di manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali soggette al pubblico transito, in misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa (art. 3 D.Lgt. n. 1446/1918); (c) facoltà per gli utenti delle strade vicinali di costituirsi in consorzio per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle stesse (art. 1 D.Lgt. n. 1446/1918); (d) obbligatoria costituzione di consorzi per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali ad uso pubblico (art. 14 L. n. 126/1958).
 
Autotutela possessoria: specifico potere di autotutela esecutiva attribuito dalla legge alla pubblica amministrazione per la difesa dei beni demaniali nonché – in forza della teoria dei “poteri impliciti” – dei beni patrimoniali indisponibili, che sorge dalla necessità che i beni pubblici siano sottoposti al costante controllo della stessa, esercitabile attraverso tempestivi atti autoritativi tanto per sottrarli a turbative quanto per meglio adeguarli alla loro pubblica funzione.
Si tratto di uno strumento alternativo e aggiuntivo rispetto a quelli ordinari apprestati dall’ordinamento a tutela della proprietà e del possesso, il quale presenta però, a differenza degli altri, delle specifiche peculiarità.
In particolare, è principio consolidato quello per cui i  poteri di autotutela iuris publici non presentano la medesima identità di ratio delle azioni di cui dispone il privato e possono essere esercitati anche dopo che sia decorso un anno dalla alterazione o dalla turbativa; si tratta di poteri autoritativi con i quali – anche a distanza di tempo dalla modifica della situazione di fatto – vi è il doveroso ripristino della disponibilità del bene in favore della collettività, poco importando se non siano stati emanati tempestivamente gli atti di autotutela.
Per converso, il bene pubblico ricompreso nel patrimonio disponibile dell’ente non può essere fatto oggetto di tutela recuperatoria autoritativa ma solo di tutela privatistica, attraverso azioni possessorie o di rivendica di natura civilistica.

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