Responsabilità civile della pubblica amministrazione

Elementi costitutivi della responsabilità: sono gli stessi stabiliti dal diritto civile per l’attribuzione della responsabilità patrimoniale in capo a qualsiasi altro soggetto, nelle due forme della responsabilità contrattuale (art. 1218 e ss. cod. civ.) e di quella extracontrattuale (art. 2043 e ss. cod. civ.).
L’attribuzione della responsabilità extracontrattuale richiede di verificare: (a) se sussista un evento dannoso; (b) se il danno sia qualificabile come ingiusto, siccome incidente su un interesse rilevante per l’ordinamento nelle forme del diritto soggettivo, dell’interesse legittimo o dell’interesse di altro tipo purché non di mero fatto; (c) se l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, a una condotta positiva o negativa della p.a.; (d) se l’evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della p.a.
Riguardo a quest’ultimo elemento, di certo il più complesso da valutare, occorre partire dal presupposto che l’illegittimità del provvedimento non costituisce automatico indicatore della responsabilità civile della p.a., dovendosi invece verificare la concreta sussistenza, in capo alla stessa, dell’elemento psicologico, cosicché risulta oramai consolidato il principio secondo cui, ai fini della configurabilità della colpa dell’amministrazione, bisogna avere riguardo al carattere della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca e cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell'elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità.
In particolare, l’errore scusabile sarà ravvisabile in presenza dell’incertezza del quadro normativo di riferimento.
 
Responsabilità precontrattuale nelle gare pubbliche: costituisce espressione del principio generale per cui anche nello svolgimento dell’attività autoritativa l’amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la cui violazione può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza.
In particolare, nelle gare pubbliche i doveri di correttezza e buona fede sussistono – anche prima e a prescindere dall’aggiudicazione – nell’ambito in tutte le fasi della procedura concorsuale, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento, la quale può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica effettuata in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede.
Nel dettaglio, per l’attribuzione della responsabilità extracontrattuale è necessario: a) che l’affidamento incolpevole del partecipante alla gara risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso e prescindendo dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta imputata all’ente appaltante.
 
Responsabilità da ritardo: con l’espressione “danno da ritardo” si fa riferimento a diverse tipologie di figure: (i) l’ipotesi in cui l’amministrazione abbia tardivamente adottato il provvedimento richiesto; (ii) l’ipotesi in cui il procedimento si sia concluso tardivamente con l’emanazione di un provvedimento negativo, pur se legittimo [danno da “mero ritardo”]; (iii) l’ipotesi di mera inerzia dell’amministrazione, ossia il caso in cui l’inerzia dell’amministrazione si sia protratta oltre la durata del termine normativamente previsto per la conclusione del procedimento [danno da “mero ritardo”].
La responsabilità da ritardo trova ora una sua specifica disciplina nell’art. 2-bis, comma 1, della L. n. 241/1990, il quale stabilisce che “Le pubbliche amministrazioni…sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.
Si tratta di una previsione normativa che, facendo riferimento all’ingiustizia del danno, deve essere intesa nei  termini di una di responsabilità extracontrattuale, per la cui affermazione spetta al privato comprovare: a) il fatto illecito consistente nella condotta antigiuridica della p.a., rappresentata dall’attività amministrativa illegittima; b) l’evento dannoso, cioè il danno ingiusto rappresentato dalla lesione della situazione sostanziale protetta; c) il nesso di causalità tra illegittimità e danno; d) l’elemento psicologico, cioè l’imputabilità a dolo o colpa dell’attività illegittima della p.a.
Con riferimento ai casi di inerzia dell’amministrazione, la risarcibilità del danno derivante dalla violazione del termine per provvedere richiede la sussistenza di tutti i presupposti stabiliti dalla legge, e in particolare, ai fini della valutazione dell’elemento psicologico, non è sufficiente l’oggettivo superamento del termine di conclusione del procedimento ma si rende necessario verificare se il comportamento dell’apparato amministrativo abbia travalicato i canoni della correttezza e della buona amministrazione, ovvero sia trasmodato in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili.
Riguardo poi al danno da ritardo riferito ad un interesse legittimo pretensivo, la sua risarcibilità è strettamente connessa a una valutazione – secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante – sulla spettanza del bene della vita da parte dell’interessato, nel senso che questi deve dimostrare la favorevole adozione del provvedimento invocato e, dunque, la spettanza effettiva del bene della vita collegato all'interesse legittimo, così da imputare all’amministrazione un ingiustificato ritardo nel fargli conseguire l’utilità sostanziale a cui aspirava e di cui avrebbe dovuto godere sin dal momento in cui l'amministrazione sarebbe stata tenuta a provvedere entro i termini di legge.
Pertanto, non costituisce oggetto di autonoma protezione – attraverso il rimedio risarcitorio – l'interesse procedimentale al rispetto dei termini dell'azione amministrativa qualora esso risulti avulso da ogni riferimento alla spettanza dell'interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato.
 
Azione risarcitoria e termine di decadenza: materia regolata dall’art. 30 c.p.a., il quale prevede una duplice disciplina: a) la domanda risarcitoria per lesione di interessi legittimi (slegata dall’azione impugnatoria) è soggetta al termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorno in cui si è verificato il fatto oppure dalla conoscenza del provvedimento, se il danno deriva direttamente da questo; b) nel caso venga invece proposta azione impugnatoria, la domanda risarcitoria può essere promossa nel corso di quel giudizio oppure entro il termine di decadenza di 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
La scelta legislativa di introdurre, in materia risarcitoria, un breve termine di decadenza (120 gg.) per l’esercizio del diritto di ristoro dell’interesse legittimo pregiudicato ha generato forti critiche anche nella giurisprudenza, superate peraltro dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 94/2017, la quale ha affermato la legittimità delle norme in questione alla luce del principio per cui, con la previsione della tutela risarcitoria sia in forma autonoma che in forma congiunta all’impugnazione dell’atto illegittimo, il legislatore ha costruito un sistema che riconosce al danneggiato la facoltà di scegliere la modalità di esercizio del diritto a lui più confacente, grazie al riconoscimento dell’azione risarcitoria autonoma che ha comportato l’abbandono del vincolo derivante dalla pregiudizialità amministrativa.
Difatti, ove l’interessato non intenda sottostare al termine decadenziale diretto dei 120 giorni, potrà sempre optare per la preventiva impugnazione degli atti ritenuti lesivi e per la successiva domanda risarcitoria, fruendo in tal caso del ben più ampio termine complessivo decorrente dal giudicato sull’annullamento ai sensi dell’art. 30, c. 5, c.p.a., pur presentando questo il medesimo termine di 120 giorni.
 
Azione risarcitoria e termine di prescrizione: si riferisce, essenzialmente, alla domanda risarcitoria per lesione di diritti soggettivi, la quale è sottoposta all’ordinario termine prescrizionale di 5 o 10 anni, a seconda che venga contestata alla P.A. una forma di responsabilità contrattuale ovvero extracontrattuale.
In termini generali, tale azione risulta disciplinata dall’art. 30, c. 2, c.p.a., in base al quale “Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti oggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica”.
La tutela risarcitoria per lesione di diritti soggettivi non è invece sottoposta al termine di decadenza dei 120 giorni, riferito solo all’azione di ristoro per i danni cagionati agli interessi legittimi.
Nei casi di responsabilità di tipo contrattuale da «contatto sociale qualificato», inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 cod. civ. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 cod. civ. bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., si applica il termine decennale di prescrizione sancito dall'art. 2946 cod. civ. e non quello quinquennale di cui all'art. 2947 cod. civ.
 
 
Responsabilità da ritardata assunzione e da mancata vittoria del concorso:
A) Sotto il profilo della responsabilità contrattuale, vige il principio per il quale la “restitutio in integrum” agli effetti economici, oltre che giuridici, spetta al pubblico dipendente nel solo caso di sentenza che riconosca l'illegittima interruzione di un rapporto già in corso, non anche di quella che dichiari illegittimo il diniego di costituzione del rapporto di lavoro. Pertanto, nell’ipotesi di annullamento dell’atto di esclusione da una graduatoria, l’interessato vanta il diritto di ottenere il riconoscimento della decorrenza ai fini giuridici dalla stessa data attribuita ai candidati assunti tempestivamente, non potendo invece ottenere le retribuzioni concernenti il periodo di ritardo nell'assunzione, trattandosi di una pretesa che, data la natura sinallagmatica del rapporto a cui si riferisce, presuppone necessariamente l'avvenuto svolgimento dell'attività di servizio.
B) Una tale pretesa economica può assumere anche il contenuto di una richiesta risarcitoria per responsabilità extracontrattuale, venendo in tal caso in rilievo tutti gli elementi di legge ai fini della tutela risarcitoria, ivi compreso il principio secondo cui la mera illegittimità dell'attività provvedimentale non costitusce presupposto sufficiente per attribuire la responsabilità alla p.a, in difetto della prova dell’esistenza dell’elemento psicologico.
Occorre peraltro chiarire che il principio di responsabilità “oggettiva” affermato dalla giurisprudenza comunitaria in tema di procedure ad evidenza pubblica, per il quale non è consentito subordinare il riconoscimento della tutela risarcitoria al carattere colpevole della violazione riscontrata, non implica un suo necessario totale recepimento da parte degli ordinamenti nazionali, potendo un tale modello restare circoscritto al solo settore degli appalti per il quale è stato espressamente affermato. 
Nelle ipotesi di omessa o ritardata assunzione il danno extracontrattuale risarcibile non si identifica nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, in quanto ciò comporterebbe una vera e propria restitutio in integrum riconducibile solo al profilo della responsabilità contrattuale, ma occorre invece, caso per caso, individuare l'entità dei danni patrimoniali e non patrimoniali provocati dalla condotta del datore di lavoro.
 
Responsabilità da contatto sociale e termine di prescrizione: è una forma sui generis di responsabilità civile della p.a. non inquadrabile né in quella extracontrattuale né in quella contrattuale in senso proprio, che trae il suo fondamento dalla particolare natura che riveste l’azione amministrativa nell’ambito dell’ordinamento e dalla capacità della stessa di incidere, con modalità ed effetti diversi, sulle posizioni dei soggetti con i quali interagisce.
In termini generali essa consiste in una forma specifica di responsabilità gravante sulla p.a. per il danno prodotto al privato a causa della violazione dell'affidamento da questi riposto nella correttezza dell'azione amministrativa.
Sua caratteristica essenziale è che la stessa non sorge – come accade per la responsabilità extracontrattuale – in assenza di rapporto, ma trae origine da un rapporto tra soggetti (la p.a. e il privato) che nasce prima e a prescindere dal danno, nell’ambito del quale il privato fa necessario affidamento sulla correttezza dell’azione pubblica. La responsabilità di questo genere discende dunque dalla violazione degli obblighi derivanti da tale rapporto e deve essere ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da “contatto sociale qualificato”, da inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale, da intendersi come riferita al rapporto obbligatorio in senso lato e non al solo atto negoziale. In particolare, il “contatto sociale qualificato” assume la veste di fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 cod. civ, dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 cod. civ. bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione secondo i principi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
Una tale forma di responsabilità determina che l’azione risarcitoria promossa a tale titolo nei confronti della p.a. è sottoposta al termine di prescrizione decennale stabilito dall'art. 2946 cod. civ., non a quello quinquennale di cui all'art. 2947 cod. civ.
 
Responsabilità per illecito penale del dipendente: in termini generali la materia è retta dal principio stabilito dall'art. 28 Cost., in base al quale “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.
Tale regola fondamentale ha dato origine all’affermazione del principio per cui l’amministrazione pubblica risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell'amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa, e quale sua conseguenza il danno ingiusto a terzi, non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata e in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo.
 
Elementi del danno risarcibile e relativa prova: in materia risarcitoria, la questione relativa alla prova della quantificazione del danno assume rilevanza centrale, trovando risposta in alcuni principi ormai consolidati:
(a) in base al principio generale fissato dall’art. 2697 cod. civ., ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo il ricorrente deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendo invocare il principio acquisitivo che si riferisce invece allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti, mentre è riconosciuta la possibilità di avvalersi delle presunzioni semplici ex art. 2729 cod. civ. al fine di dimostrare la prova del danno subito e della sua entità, fermo restando l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise; (b) spetta al soggetto danneggiato offrire, senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova rigorosa del pregiudizio effettivamente subito ovvero dell’utilità che avrebbe in concreto conseguito, poiché nell’azione di responsabilità per danni dinanzi al giudice amministrativo il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento, mentre la valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. è ammessa solo in presenza di situazioni di impossibilità (o di estrema difficoltà) di una precisa prova sull’ammontare del danno; (c) per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; da ciò discende la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base a una norma giuridica, di un’utilità sostanziale che ha perduto o alla quale aspira, di cui vorrebbe ottenere l’equivalente economico in sede giudiziale.

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